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Gelsomini in carcere

Una notizia che ha attratto l’attenzione di alcuni media e quella di tante associazioni Lgbt italiane riguarda l’arresto, il processo e la condanna di sei ragazzi tunisini per atti di sodomia, a Kairowan, la quarta città santa dell’Islam.
Il fatto in questione è accaduto nella Tunisia dei nostri giorni, patria della sofferente primavera araba – la cosiddetta rivoluzione dei gelsomini – cominciata proprio in questo paese e tuttora miracolosamente in corso nonostante la complicatissima situazione politica internazionale.
La decisione del Tribunale di Sousse, la città dove si è svolto il processo, costituisce evidentemente una battuta d’arresto sul piano della lotta per il riconoscimento dei diritti civili, conseguenza della lentezza del processo che dovrebbe portare la Tunisia verso la costruzione di una società democratica, moderatamente laica e progressista, nei limiti concessi da uno Stato islamico.
I sei giovani gay, tutti studenti tra i diciotto e i venti anni, sono stati condannati al massimo della pena prevista dall’articolo 230 del codice penale tunisino, vale a dire sei anni di carcere. A quanto pare, una volta incarcerati, i ragazzi sono stati molestati, anche sessualmente, torturati da agenti penitenziari e sottoposti al cosiddetto test anale, un’offensiva quanto inutile pratica che dovrebbe dimostrare l’omosessualità delle persone sospette. Come se la sessualità di un omosessuale fosse limitata alla sola penetrazione anale e non comprendesse anche, e in qualche caso soltanto, forme di erotismo versatile e poliedrico non necessariamente fissate sulla genitalità. Inutile poi pensare, vista la situazione, che una mentalità così ottusa sia in grado di immaginare che rapporti intimi tra due uomini possano attivare relazioni affettive. Aggiungo che, a quanto pare, ad essere considerato omosessuale è solo il partner cosiddetto passivo; e il soggetto attivo, come si qualifica? Non saprei, ma a quanto pare, è probabilmente, la sottomissione di un maschio a un altro maschio a essere considerata inaccettabile e fare scandalo.
I sei giovani gay sono stati arrestati verso la fine di novembre 2015; la condanna è stata emessa dal Tribunale il 10 dicembre; tuttavia, e questa è la prima buona notizia, “grazie all’impegno dell’associazione tunisina per la depenalizzazione dell’omosessualità Shams (Sole) e di alcuni attivisti, si è riusciti a ottenere una sentenza di appello e la libertà provvisoria per tutti i sei ragazzi” (Il Grande Colibrì – Essere Lgbt nel Mondo).
Il problema è che un processo per sodomia costituisce una condanna morale anche in caso di assoluzione da parte del giudice. A causa dello stigma sociale i sei giovani hanno subito varie forme di discriminazione, fra cui l’ostracismo da parte delle rispettive famiglie, la negazione del diritto di continuare gli studi e l’impossibilità di trovare un lavoro.
Abbandonati a se stessi questi ragazzi sono riusciti a sopravvivere solo grazie alla solidarietà di Shams; ma le risorse dell’associazione tunisina non erano e non sono infinite. Da qui è nato l’appello, all’indomani della provvisoria scarcerazione, per una raccolta fondi online sulla pagina kapipal.com, rivolta alla comunità lgbtqi italiana. L’appello è stato rilanciato da Il Grande Colibrì e raccolto da I Sentinelli di Milano, Pavia, Piacenza e Sesto San Giovanni, la rete degli sportelli Immigrazioni e Omosessualità di Arcigay, l’associazione Rompiamo il Silenzio di Bergamo e Rainbow Warriors, organizzazione londinese che si occupa di diritti LGBT nei paesi più poveri del mondo, autorizzata a gestire tecnicamente la raccolta fondi e a inviare il denaro in Tunisia, destinato da Shams a sostenere i sei giovani.
La sentenza d’appello è arrivata verso la fine di febbraio di quest’anno, e da alcuni è stata definita una sentenza politica e una mezza vittoria. In sostanza i sei ragazzi sono stati condannati a solo un mese di prigione (pena già scontata) e al pagamento di una multa di 400 dinari, pari a circa 200 euro. Gli avvocati difensori e le associazioni locali per i diritti civili che hanno seguito il caso da vicino, avrebbero preferito una sentenza di piena assoluzione. Il risultato è quello, invece, di un forte compromesso: condanna sì, ma accompagnata da una riduzione drastica della pena. Secondo me si tratta comunque di un ottimo risultato.
Aggiungo, a questo punto, alcune considerazioni personali. Io so, per testimonianza diretta, che in Tunisia come in Marocco e in altri Paesi arabi, l’omosessualità maschile è praticata da una grande quantità di uomini, almeno fino all’età di cinquant’anni; uomini di tutti i livelli e generi sociali, culturali ed estetici. E questo comportamento non è da ridurre alla sola prostituzione: i prostituti, che si rivolgono, credo, principalmente ai turisti gay occidentali, rappresentano probabilmente solo un terzo del tutto, il resto è rappresentato dai bisessuali e dai gay.
Se le cose stanno in questo modo come si spiega tanta ostilità nei confronti dell’omosessualità? La risposta a questa domanda richiederebbe un’analisi storica e culturale approfondita del tema in questione, impresa davanti alla quale al momento mi dichiaro impreparato.
Ricordo, per chiudere con una nota di speranza, che nel 2015 la Tunisia ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace. Oggetto della premiazione è stato, più precisamente, Il Quartetto per il Dialogo Nazionale Tunisino (l’Unione generale tunisina del lavoro, la Confederazione dell’industria del commercio e dell’artigianato, la Lega tunisina per i diritti dell’uomo e l’Ordine nazionale degli avvocati di Tunisia), con la seguente motivazione: “per il suo contributo decisivo alla costruzione di una democrazia pluralistica in Tunisia, sulla scia della Rivoluzione del Gelsomino del 2011”.
Questo importante riconoscimento nei confronti di un Paese vicino e amico dovrebbe incoraggiare le istituzioni politiche tunisine a proseguire sulla strada della democrazia, nel riconoscimento dei diritti civili di tutti, per un futuro migliore, nonostante le grandi e drammatiche difficoltà in cui si trovano i Paesi coinvolti nell’attuale conflitto internazionale.
Testo a cura di Flavio Angiolini