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Intervista a un giovane artista “instabile”: Matteo Chincarini

Matteo Chincarini è un giovane attore, autore di un cortometraggio, modello per campagne pubblicitarie. Con lui iniziamo a dare rilievo a figure interessanti presenti nella vita quotidiana, ragazzi che vivono la propria arte o che si interessano di attività culturali, nutrono passioni sociali, civili, non conosciuti ma, non per questo, meno importanti. Matteo è a Milano e viene da una famiglia artistica. Si definisce “instabile” in quanto questa instabilità lo porta a “fare diverse cose, artistiche soprattutto”.

Chi è Matteo Chincarini?
Un “instabile” ma inteso come “zingaro”. Ho sempre fatto traslochi nella mia vita. Ho sempre visto il mondo sotto un altro aspetto. Ho cambiato 14 case nei miei 23 anni di vita, non potrei essere una persona “stabile”.

L’instabilità che cosa ti porta?
È la mia fortuna, motivo che mi porta a fare diverse cose, artistiche soprattutto, che continuo a svolgere costantemente.

Artisticamente come hai iniziato?
Vengo da una famiglia artistica. La mia zia è attrice, la mia nonna costumista. Il mondo dell’arte è il luogo in cui sono cresciuto. Non è stata una novità che io facessi teatro. A 12 anni ho iniziato in una piccola compagnia teatrale del paese, Scurelle in provincia di Trento. Il regista, mi ha trasmesso in questa occasione, passione per il teatro nel mondo più semplice possibile. Mi ha colpito molto vedere come una persona con semplicità trovasse passione in quel che faceva. L’opportunità di fare teatro mi ha fato crescere con un’altra visione della vita e delle passioni. Cresci in modo “impostato”, non serioso in senso borghese, e le passioni vengono seguite in modo coerente.

Professione teatrale … quale percorso hai intrapreso?
Ho iniziato con una compagnia di provincia che dopo un paio di spettacoli si è sciolta. Dopo due anni, grazie alla mia zia attrice, sono entrato a fare parte di un’altra compagnia che faceva principalmente musical: è partita, così, la produzione di “Aggiungi un posto a tavola” con la mia partecipazione nelle vesti di Don Silvestro. La regia era di una donna,una grande donna, decisa e molto forte. E grazie a lei ho iniziato a formarmi professionalmente, incominciando così la scuola di Teatro San Marco di Trento, mi sono reso conto che questa non era piu solamente una mia grande passione ma un’aspettativa di vita e di professione, così a 18 anni ho fatto le mie valige e sono partito per Roma seguendo il mio sogno.

A Roma cosa è successo?
Sono andato un po’allo sbaraglio, del resto l’incoscienza di quell’età ti permette di fare cose incredibili. Avevo una grande voglia di andare in quella città, sia perché amo l’arte, sia perché volevo frequentare il mondo del cinema e Roma rispecchiava questi miei interessi, e anche perché in questa città ho potuto realizzare il mio sogno. Nella capitale ho frequentato scuole di danza, di moda, non certo per diventare un modello, ma per avere una visione a tutto tondo del mondo dello spettacolo e una giusta impostazione e un corretto modo di porsi; ho anche frequentato il mondo del cinema e della pubblicità. Per un ragazzo di 18 anni è veramente emozionante lavorare dentro le storiche mura di Cinecittà, tempio dove i “santi” del cinema hanno realizzato i loro “miracoli”.

C’è stato, quindi, un passaggio nella tua formazione professionale dal teatro al cinema?
È stato immediato, dato che a Roma è facile che avvenga ciò. Il cinema in quella città è parte della vita di tutti. A Roma sono cresciuto artisticamente.

Ma dopo due anni torni a fare teatro …
Matteo riprende, così, la sua valigia e si trasferisce a Verona, dove inizia a fare parte della scuola del Teatro Stabile con una formazione molto classica . Ho fatto, pertanto, “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare; ”Antigone” di Sofocle, uno spettacolo sulla Costituzione, “L’alba della libertà” e ho recitato con altre compagnie vari testi di Dario Fo, di Chekov e “La bancarotta” di Goldoni. A Verona ho potuto, così, spaziare artisticamente dalle basi della Grecia antica al teatro contemporaneo. Verona è una città che mi ha dato molto e consentito lo studio: la borghesità della città vive una vera passione per il teatro.

Ti sei, pertanto, avvicinato anche alla regia …
Come esperienza formativa. Ho fatto un cortometraggio “Sciopero” dove la vita universitaria viene presentata attraverso i diversi stili di vita condotti da differenti studenti e coinquilini: ho voluto, così, vedere come avrebbero potuto reagire alla notizia dello sciopero diverse figure . La storia si svolge durante l’ora di pranzo, ci sono diversi stili di alimentazione e differenti reazioni rispetto a una notizia di uno sciopero generale. Il tutto si svolge in un quarto d’ora. Ho fatto questo come esperienza personale, se volessi fare un altro cortometraggio partirei con una marcia in più, vedendo gli errori commessi.

Ma hai anche fatto danza …
Sì a Verona sempre. Ho preso parte a due spettacoli in stile moderno e contemporaneo dove nell’ultimo ero il protagonista. Mi emoziono molto di più nel ballare che a recitare. La danza mi emoziona in sé di più anche perché è piu tecnica e se sbaglio non posso correggermi con le parole. Ogni volta prima di entrare in scena mi inalbero, sono intrattabile prima di fare uno spettacolo, sono sempre teso alla ricerca della perfezione che non esiste e questo mi altera parecchio.

Hai lavorato anche con teatro di drag: quale rapporto assume nella tua esperienza artistica il teatro e questo genere?
Frequentando l’ambiente gay si conosce. Un mio amico mi ha invitato a vedere uno spettacolo di drag a Verona e lo spettacolo mi ha colpito molto perché mi ha garantito una visione diversa su questa arte specifica. Perché è un’arte! È un ‘arte il trasformismo delle drag queen. In questo caso le drag erano spettacolari e facevano brani simpatici e attraenti, un vero e proprio cabaret. Finita la cena la mia intraprendenza mi ha fatto pensare che anche io mi sarei dovuto interessare a questo genere. Le drag mi hanno detto che da lì a poco sarebbe partito un nuovo spettacolo con una produzione più seria e stavano per l’occasione pensando come realizzarlo, mi sono dato disponibile come parte maschile in scena e loro mi hanno accolto con entusiasmo. Volevo fare nell’economia dello spettacolo il cerimoniere, il presentatore e il ballerino ed è nato così, lo spettacolo “Che sera stasera show”. Ogni venerdì andava in scena e cambiavamo registro ogni settimana. Abbiamo, così, messo in scena vari pezzi come Grease, gli Abba, Moulin Rouge, Via col Vento, vari cartoni animati e la Tarantella. È stata una grande scuola per me questa esperienza. L’impegno non era a livello di preparazione, in quanto andavamo in scena tranquilli, perché preparati. Se il pubblico vede l’artista divertirsi anch’esso si diverte e viene trascinato: l’approccio adottato con il pubblico da parte delle drag queen ci ha fatto comprendere l’importanza dell’autonomia artistica e dell’autorevolezza dell’arte in generale. Tra gli spettatori avevamo bambini, famiglie al completo, anziani, è stato tutto questo un mezzo per sdoganare la figura della drag. Il pubblico era variegato: addirittura avevamo più persone etero che gay. È stata una soddisfazione avere ogni mese la mia famiglia che veniva a vedere lo spettacolo e tutt’ora continuano ad andarci anche se io non ci sono piu. Grazie a questo ambiente ho conosciuto “Romeo in love”, trasmissione veronese, primo poad cast sulla cultura lgbt. La sede della redazione si trova nell’Università di Verona e con loro abbiamo fatto quattro puntate: siamo stati il primo gruppo di drag ad andare in trasmissione, parlando di cosa sia essere drag artisticamente, di cosa sia il mondo delle drag. La prima puntata, pertanto, è stata fatta sul tema delle drag, la seconda sulla mia storia di persona gay che ha vissuto e vive lo show business; la terza è stata un live dello spettacolo direttamente dal locale, mentre un’altra ha visto me come inviato speciale dal red carpet del Festival del Cinema di Roma, dove ho trattato film a tematica gay.

Perché dopo tutte queste tappe interessanti hai deciso di venire a Milano?
Venivo spesso a Milano come modello per le agenzie e per delle produzioni cinematografiche e pubblicitarie, mi ha sempre affascinato come città e come vitalità. A Milano ho trovato un energia e un atmosfera molto stimolante per me e quindi eccomi qui. Ho frequentato per lavoro l’ambiente della moda, mondo, che osservo da fuori con un sorriso sulle labbra. Non è certo il mio stile di vita. È un mondo di illusione, di finzione. A differenza, il teatro è sì finzione, ma ti lascia qualcosa e ti incide.

La moda, pertanto, è vissuta da te solo come realtà “estetica”?
Un complimento fattomi da mia carissima zia è stato:” Matteo a te piace il bello, e questa è la tua fortuna”; io amo le cose belle, non necessariamente trendy, non assolutamente fashion.

Quali sono i buoni propositi per l’anno in corso, gli obiettivi che ti sei prefissato?
Sono entrato a far parte del circolo degli attori di Milano con la quale stiamo per mettere in scena delle cose interessanti ed ho scritto un copione che porterò in scena sia da attore che da regista quindi spero e penso che sia un anno ricco di soddisfazioni personali e professionali.

Sorge, ora, una domanda: quale è il tuo rapporto col corpo davanti all’obiettivo fortografico e davanti a un pubblico?
Non avevo un buon rapporto col mio fisico e con il mio corpo. Sono molto autocritico ma in modo costruttivo: tutto questo rientra nella mia educazione e nella mia crescita formativa. Nonostante questo mi piace apparire in modo artistico. L’incontro, poi, con un fotografo professionista mi ha aiutato a essere un po’ più disinibito e sciolto: sto parlando di Dido Fontana, un fotografo alla ricerca costante dell’alternativa. L’impatto con lui è stato traumatico: il primo degli 8 incontri è stato il più difficile in quanto ho posato nudo. Ho fatto vari scatti anche a tematica gay, un servizio con un ragazzo vestiti da dame del ‘500 in un bosco mentre ci baciavamo. Ho messo in contatto Dido con le varie drag e sono stati fatti, così, vari servizi con location differenti: uno studio fotografico, interno di un palazzo antico, in una strada, in un bosco. Il bello di lavorare con lui è che Dido ha sempre idee nuove e divertenti. Non è mai ripetitivo: fa uno scatto e subito ne fa un altro. Coglie il momento. Non studia mai la foto. Sono riuscito a giocare di più col mio corpo durante i suoi servizi. Oggi ho un rapporto di certo più sciolto.

Quale consiglio daresti a un ragazzo timido con la tua passione?
Il teatro è una terapia psicologica e aiuta a essere sicuri di sé stessi interpretando qualcun altro. Consiglio, quindi, di iniziare a fare un corso di teatro e provare ad aprirsi di più, confrontandosi con persone più disponibili a farlo. Riesci in questo modo vedere te stesso da fuori. È un lavoro psicologico importante.

Per quanto riguarda il rapporto con sé stesso e con l’obiettivo fotografico?
Devi giocare con la macchina fotografica, essere autoironico, disinibito, disinvolto. Tutto questo ti aiuta, devi prenderlo come un gioco, tutto qui.