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Ricordando Nureyev…

Aveva il carisma e la semplicità di un uomo della terra,
e l’arroganza inaccessibile degli dei
.
Michail Baryšnikov

Ballerino sublime (con Nižiskij, il più grande del ‘900), coreografo, avventuriero, dandy, lavoratore instancabile, a sedici anni dalla scomparsa Rudolf Nureyev continua ad esercitare un fascino a cui è difficile sottrarsi. D’altra parte la sua vita assomiglia a un romanzo, in cui bellezza, talento, ribellione, nostalgia e solitudine si intrecciano inesorabilmente.
Rudolf nasce giovedì 17 marzo 1938, su un vagone della Transiberiana da Farida Nureeva, vicino a un paese chiamato Razdol’naja, diverse ore di viaggio dopo Irkutsk. Della nascita a bordo della Transiberiana, sotto il segno di Allah e della stella rossa, Rudolf farà uno dei simboli forti della propria movimentata vita.
Dopo esperienze passate nella città di Ufa in ambito folcloristico, il sogno di Rudolf si realizza: la famosa scuola Mariinskij di San Pietroburgo gli apre le porte il 17 agosto 1955. Purtroppo è quasi al limite di età per entrare nella scuola: Vera Segeevna Kostrovitskaja pronuncia un verdetto pessimista, tuttavia lo ritiene degno di entrarci. In pochi anni Rudolf diviene uno dei ballerini più famosi della Russia, ballando per il teatro Kirov, dove debutta con il passo a tre di Il lago dei cigni ed eseguendo Laurencia, Don Chiscotte, Il corsaro, Giselle. Nel 1961 si ricorda il suo fortunato e rocambolesco passaggio all’Ovest.

Nureyev fu molto influente nell’ambito della danza classica: da un lato egli accentuò l’importanza dei ruoli maschili, che a partire dalle sue produzioni vennero sviluppati con molta maggiore cura per la coreografia che nelle produzioni precedenti; dall’altro grazie a lui venne abbattuto il confine tra balletto classico e danza moderna. Nureyev infatti danzò entrambi gli stili, pur essendo stato formato come ballerino classico, cosa che oggi è assolutamente normale per un professionista, ma nella quale Nureyev fu precursore molto criticato ai tempi.

La vita di Nureyev è segnata anche da forti passioni amorose: ricordiamo il ballerino danese Erik Bruhn, direttore del Balletto reale svedese, che divenne suo amante e protettore.

Il pregio di questo grande artista è sempre stata la determinazione. La promiscuità nei rapporti sessuali e la non conoscenza della pericolosità di questi, portò alle tragedie derivate dallo scoppio dell’AIDS anche in campo artistico, incominciando nel 1983 con Klaus Nomi. Secondo il dott. Michel Canesi, Nureyev probabilmente è diventato sieropositivo all’inizio degli anni ’80.
A seguito della diagnosi, il ballerino incomincia le pesantissime cure sperimentali di HPA23 e di AZT: il fisico di Rudolf regge, continua a danzare, nonostante il peso degli anni, l’inevitabile affaticamento e la malattia latente. Dal 1983 al 1989 è direttore di danza all’Opera di Parigi. Nel 1991 invece tenta, con scarso successo di critica e pubblico, di diventare direttore d’orchestra pur non avendone le competenze specifiche. A partire dal 1992 l’artista si ritrova ad affrontare il periodo più difficile e doloroso della sua malattia; si rimette in maniera a dir poco straordinaria, e dirige Romeo e Giulietta a New York danzato da Silvie Giullem e Laurent Hilaire. Il 4 gennaio 1993, avvolto nel suo pigiama di pura lana dalle tonalità ocra, Rudolf entra in coma e si spegne serenamente il 6 gennaio 1993, alle tre e trenta del mattino, il giorno del natale russo. Al funerale, (12 gennaio), il finale brutale della Fuga XIII di Bach diviene il simbolo di quella vita spezzata dall’AIDS.
Sotto un sole freddo simile a quello della Russia ognuno si chiude in un assorto raccoglimento. Poi gli ammiratori si avvicinano per gettare un giglio bianco sul feretro di colui che, attraversando il mondo di corsa, fu l’ultimo zar della danza.

Pasquale Antonio Signore

Interpretazione de Il lago dei cigni

Interpretazione del Corsaro

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