La transgenerità di Monica Romano

Monica Romano com’è noto, è una donna transgender, esperta di lavoro e militante LGBT. È anche una colonna del nostro circolo. L’abbiamo intervistata per il circolo culturale “Harvey Milk” di Milano, in merito agli incontri mensili dedicati a “Transgenerità: cultura e autocoscienza”. Essi cominciarono il 18 maggio 2017, con: “L’omoaffettività delle persone transgender”; visto lo spessore dei contenuti, abbiamo riportato qui l’intervista introduttiva.

 

Monica-J-Romano

1) “Transgenerità”: un curioso neologismo. Come è nato?

 

La parola transgenerità deriva da transgenere, traduzione italiana di transgender, e può essere

utilizzata come sinonimo di transgenderismo.

 

2) Il primo di questa serie d’incontri è dedicato all’omoaffettività delle persone transgender. C’è tutt’oggi confusione tra orientamento sessuale/affettivo e transgenerità?

 

Molti, ancora oggi, confondono l’identità di genere con l’orientamento sessuale e affettivo.

Il primo incontro sull’omoaffettività delle persone transgenere si è tenuto giovedì 18 maggio 2017, con un ottimo riscontro di pubblico e di interesse rispetto al tema proposto.

 

3) Quali sono i luoghi comuni più diffusi circa l’orientamento sessuale delle persone transgender?

 

C’è ancora l’idea che noi transizioniamo per avere un partner, e questo è molto grave, perché non riconosce appieno il nostro percorso di autodeterminazione: noi transizioniamo per noi stess*, non certo per avere un fidanzato o un compagno di vita!

C’è poi la convinzione, figlia dell’eterosessismo, che questo partner debba essere necessariamente un uomo per noi donne transgender, o una donna per gli uomini transgender: altra idea decisamente fuorviante, se consideriamo le percentuali significative di persone omoaffettive, biaffettive o panaffettive fra le persone transgenere.

 

 

4) “Gender variance”: qual è, in breve, la storia di questo termine?

 

“Variabilità di genere” (gender variance) è un’espressione utilizzata in diversi ambiti: dalla psicologia alla psichiatria, dall’antropologia fino ai gender studies, e può essere indicata come l’attitudine del genere sessuale a manifestarsi in una pluralità di sfumature.

Il concetto di variabilità di genere restituisce la complessità dell’essere umano in relazione alle identità e alle espressioni di genere, la bellezza del pluralismo identitario ed espressivo che si contrappone alla costruzione sociale e culturale del binarismo di genere che spesso ci ingabbia , limitando la nostra libertà comportamentale e nelle relazioni.

 

5) Oltre alla transgenerità, l’autocoscienza: cos’è? Come si forma?

 

Lo strumento dell’autocoscienza consente di individuare le diverse forme di oppressione e subordinazione derivanti dalla cultura dominante. Rispetto al tema del binarismo/dualità di genere, ci porremo come obiettivo una de-strutturazione personale dei condizionamenti che dal binarismo derivano e che tutti introiettiamo, cui si può arrivare anche con il sostegno del collettivo.

Il privato si scoprirà politico, in un processo liberante che avrà come obiettivo finale l’elaborazione di documenti scritti, manifesti politici, vademecum per operatori sociali, teorizzazioni, racconti di vita e di esperienze, contributi culturali.

 

 

6) Come è nata l’idea di questo laboratorio mensile?

 

Io e altri attivisti transgender, come Nahan Bonnì, Daniele Brattoli e Laura Caruso – dopo quasi quattro anni di lavoro nella gestione di gruppi di auto mutuo aiuto (AMA) rivolti a persone transessuali, transgender e di genere non conforme – abbiamo scoperto un bisogno personale quanto comune: quello di andare oltre l’auto aiuto e di dedicarci all’elaborazione di contributi culturali e di linguaggio per la nostra comunità e non solo, in un’ottica di autocoscienza, partendo quindi dai nostri vissuti personali.

Anche l’avvocato Marco D’Aloi, molto vicino a noi e a nostri temi, tanto quanto legale quanto umanamente, da subito si è dimostrato molto interessato a questo progetto.

 

 

7) “Cultura e autocoscienza”: come si ricollegano?

 

In realtà questa è la storia di tutte le minoranze.

Gli appartenenti a un gruppo minoritario decidono di mettersi insieme, di narrarsi e raccontarsi con parole proprie, di mettere in discussione la visione del loro gruppo veicolata e riconosciuta dalla cultura dominante: così nascono altre visioni e linguaggi, e così si avviano quelle che, in antropologia e sociologia, sono definite “sub-culture”.

Tutto parte dalla volontà di riprendersi la parola: una parola, una narrazione sulle nostre vite e sul loro portato che – nel caso delle persone transgenere e di genere non conforme – per troppo tempo è stata esclusivamente di altri e, quasi mai, dei diretti interessati.

 

Intervista a cura di Erica “Eric” Gazzoldi

 

Foto: https://images.app.goo.gl/w9gBbNt7ivWQDUMM6

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