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A occhi aperti nella morte

“Non essendoci più gli dei, e non essendoci ancora Cristo, c’è stato, da Cicerone a Marco Aurelio, un momento unico in cui è esistito solo l’uomo.” Da questa citazione di Gustave Flaubert scaturì una scintilla preziosissima per Marguerite Yourcenar (Bruxelles, 1903 – Mount Desert, 1987).


Mente brillante, educata da un padre singolarmente preoccupato della sua istruzione, visse da viaggiatrice e fu la prima donna a far parte dell’Académie française (1980). Alla propria straordinaria cultura, univa l’irrequietudine sentimentale ed esistenziale. Attratta dalla vita notturna, amava sedurre. Ebbe diverse relazioni con donne, fra cui la greca Lucy Kyriakos. La compagna di vita fu però la statunitense Grace Frick, che tradusse in inglese i romanzi della Yourcenar. Al nome di Marguerite sono legati anche i nomi di tre uomini omosessuali, di cui lei si innamorò (non corrisposta): il suo editore, l’altero André Fraigneau; il poeta surrealista e psicanalista Andreas Embirikos; lo studente Jerry Wilson.
L’erudizione e la sensualità della Yourcenar si condensano in mirabile sintesi nel suo capolavoro, “Mémoires d’Hadrien” (1951). La prima bozza dell’opera risale al 1924, anno in cui l’autrice visitò Villa Adriana a Tivoli. Ebbe allora inizio una gestazione letteraria lunga e discontinua, che fece di questo romanzo una sorta di tela di Penelope. La ricostruzione psicologica e storica della figura dell’imperatore romano Adriano (117-138 d.C.) richiedeva infatti la piena maturità intellettuale dell’autrice.
Il romanzo si configura come un lungo memoriale, indirizzato dal protagonista a Marco Aurelio e articolato in sei sezioni dai titoli latini. Far parlare un personaggio maschile sarebbe stato, per la Yourcenar, più facile che dar voce a uno femminile. Scriveva Marguerite nei propri appunti: “La vita delle donne è troppo limitata, o troppo segreta. Che una donna si racconti, e il primo rimprovero che le verrà fatto sarà di non essere più donna.” La scrittrice mal sopportava, inoltre, sia che si vedesse nell’Adriano-personaggio un suo “alter ego”, sia che ci si stupisse della “lontananza” del soggetto: “Lo stregone […] al momento d’evocare le ombre sa che esse non obbediranno al suo richiamo se non perché leccano il suo stesso sangue. Sa anche, o dovrebbe sapere, che le voci che gli parlano sono più sagge e più degne d’attenzione che le proprie stesse urla”. Affermava anche: “Ogni essere che ha vissuto l’avventura umana è me”.
Il “suo” Adriano, fin dall’inizio, vagheggia un “sistema di conoscenza umana basato sull’erotico, una teoria del contatto, in cui il mistero e la dignità altrui consisterebbero precisamente nell’offrire all’Io quell’appiglio a un altro mondo” (“Memorie di Adriano”, ‘Animula vagula blandula’). Per l’appunto, la ricostruzione letteraria dà spazio agli amori dell’imperatore con donne o con giovani. Nella sezione ‘Saeculum aureum’, è narrato il più celebre: quello che legò Adriano al suo favorito Antinoo, incontrato in Bitinia (regione dell’attuale Turchia sulle coste del Mar Nero). “Antinoo era greco […] Ma l’Asia aveva prodotto su quel sangue un po’ acre l’effetto della goccia di miele che turba e profuma un vino puro. Ritrovavo in lui le superstizioni di un discepolo di Apollonio, la fede monarchica d’un suddito orientale del Gran Re. La sua presenza era straordinariamente silenziosa: mi ha seguito come un animale o come un genio familiare. Aveva d’un giovane cane le capacità infinite di godimento e d’indolenza, la selvatichezza, la confidenza. Quel bel levriero avido di carezze e di ordini si coricò sulla mia vita. […] gli occhi più attenti del mondo mi fissavano in volto; mi sentivo giudicato. Ma lo ero come un dio lo è dal suo fedele […] Non sono stato padrone assoluto che una sola volta e d’una sola creatura”. Antinoo condividerà col più maturo amante i viaggi che hanno reso celebre quest’ultimo. Al fianco dell’imperatore, il pastorello diviene giovane principe. La presenza di Antinoo amplifica la vertigine che porta Adriano a sentirsi pari agli dei; l’auge in cui il protagonista si trova si riflette sul favorito, di volta in volta idealizzato come Ermes, come Bacco o come Eros. Si prepara quell’apoteosi realizzata dopo la morte di Antinoo e fonte delle sue molte effigi, insaziabilmente collezionate dalla Yourcenar. Del giovane, si sa che morì poco meno che ventenne nelle acque del Nilo. L’autrice sposa l’ipotesi che vede in ciò non un incidente, ma un sacrificio propiziatorio in favore di Adriano. L’Antinoo-personaggio s’immola silenziosamente, per aumentare gli anni della vita dell’imperatore e per salvare se stesso dalla temuta vecchiaia. Questo episodio porta per la prima volta l’Adriano letterario a contatto con l’orrore lucido e diretto della morte. I tentativi di riparare alla tragedia col culto funebre si mescolano alle riflessioni sull’amato, mai interamente conosciuto. “I miei stessi rimorsi sono divenuti, a poco a poco, una forma amara di possesso, un modo d’assicurarmi che sono stato fino alla fine il triste padrone del suo destino. Ma non ignoro che bisogna fare i conti con le decisioni di quel bell’estraneo che resta, malgrado tutto, ogni essere che si ama. […] Non ho il diritto di disprezzare il singolare capolavoro che fu la sua dipartita; devo lasciare a quel ragazzo il merito della propria morte.”
Il pianto d’un altro accompagna l’agonia dell’imperatore, che è anche il tramonto dell’epoca in cui “è esistito solo l’uomo”. Senza pagare tributo ad alcun dio, Adriano entra nella morte a occhi aperti, in modo eguale e contrario a quello di Antinoo. L’unica cosa a contare è questa: “Adriano, fino alla fine, sarà stato umanamente amato” (“Memorie di Adriano”, ‘Patientia’).

Marguerite Yourcenar, « Mémoires d’Hadrien » suivi de « Carnets de notes de Mémoires d’Hadrien », (“Collection Folio”), 1974, Éditions Gallimard. Traduzioni nostre.

Testo di Erica Gazzoldi Favalli