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Ancora sulla sentenza. Giovanni Dall’Orto.


Pubblichiamo con piacere il commento di Giovanni Dall’Orto alle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale. Come sempre le valutazioni di Giovanni sono lucide e assolutamente condivisibili, a nostro giudizio.

Esistono nella sentenza almeno quattro punti importanti per noi, e mai stabiliti prima attraverso la “via politica”, che spiccano perfino agli occhi di un profano come me. E chissà cosa troveranno gli occhi più esperti ed allenati dei giuristi che stanno seguendo la faccenda.

Con straordinaria celerità la motivazione della sentenza della Corte Costituzionale di due giorni fa è stata già pubblicata. La lettura di questo testo conferma quanto si diceva a proposito del fatto che non si possono dare giudizi prima di aver letto le motivazioni. Il testo contiene infatti, è vero, il respingimento delle richieste, ma anche tutta una serie di aperture e affermazioni di princìpi tali, che sicuramente daranno filo da torcere al mondo politico, che oggi ha commentato la sentenza senza averla palesemente letta.

Il Diritto è una materia tecnica e quindi lascerei il commento tecnico agli esperti del settore, che meglio di me sapranno valutarne il significato. Come militante gay e giornalista vorrei però piluccare alcune affermazioni straordinarie che spiccano in questo lungo testo, e che potrebbero passare inosservate a chi si limitasse ai soli commenti dei politici, o non avesse avuto il tempo per leggersi l’intero testo.

In primis, vorrei fare notare che questa sentenza è il primo atto con valore giuridico in Italia che riconosce alle persone omosessuali il diritto di vedere tutelate le loro relazioni di coppia. Coloro che vogliono leggere questa sentenza come una sconfitta delle “assurde pretese” del movimento gay tendono infatti a censurare completamente il fatto che la Consulta ha in realtà dichiarato che:

“l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, (…) spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.

Ripeto, è il primo riconoscimento di questo tipo in Italia.

Secondo, la corte ha dichiarato in modo implicito (ovvero evitando di dichiarare l’opposto) che il matrimonio gay non è anticostituzionale, come invece sostenevano e sostengono i cattolici e il PD. Si limita ad essere “non previsto” nella Costituzione così com’essa è (e per questo la Corte ha respinto la richiesta), ma nulla, nemmeno la Costituzione, impedisce al Parlamento, se lo desidera, di istituirlo ex novo. Ed è un secondo ostacolo che è stato tolto di mezzo.

In particolare, sempre al punto 8, la Corte da un lato esclude che il matrimonio sia il solo modo di regolamentare l’unione gay, affermando che:

“È sufficiente l’esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate”. Dall’altro però, immediatamente dopo questa frase aggiunge: “Ne deriva, dunque, che, nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette”. Ma poiché fra le unioni “suddette” ci sono anche quelle matrimoniali, nulla osta a che il parlamento, “nella sua piena discrezionalità”, opti per la soluzione matrimoniale.

Lo so che decifrare queste “aperture” in codice può apparire un po’ astruso, ma il mondo giuridico comunica in questo modo. Per coloro che sono del settore si tratta di messaggi chiari ed espliciti, mentre noi non addetti ai lavori abbiamo bisogno di tradurli in linguaggio corrente per capirli. Resta il fatto che tali messaggi ci sono, e non sono lì per caso, o per sbadataggine, dato che ogni parola, anzi ogni virgola è soppesata prima di essere scritta, in una sentenza di questo livello.

Terzo punto, la Corte ha detto che quale che sia il modo in cui il Parlamento deciderà di regolamentare l’unione fra persone omosessuali, tale riconoscimento dovrà offrire pari diritti rispetto alle coppie eterosessuali. Qualora ciò non avvenisse, la Corte aggiunge esplicitamente di riservarsi il diritto d’intervenire per sanare “irragionevoli” disparità di trattamento:

Ne deriva, dunque, che, nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988). Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.

Ma ci rendiamo conto di cosa vuol dire questa dichiarazione? Che la Corte Costituzionale si riserva il diritto di cassare leggi “al ribasso”, fatte tanto per evitare di affrontare il problema senza garantire un “trattamento omogeneo”.

E questa sarebbe una sentenza-disfatta, per noi? Questa sarebbe la sentenza che, come giura un surreale blog di fantapolitica, addirittura “metterebbe in liquidazione” l’intero movimento gay?

Tutto ciò è ridicolo. Qui in una sola pagina ci sono più riconoscimenti dei diritti della coppia lgbt di quanti ne abbia saputi proporre in vent’anni la “via parlamentare”. E soprattutto ce ne sono di più di quanti ne contengano i programmi politici dei partiti di cosiddetta “centrosinistra” italiana attuale.

Quarto ed ultimo punto (che è scritto in strettissimo codice e quindi è destinato a sfuggire ai non addetti ai lavori) la Consulta ha schiaffeggiato le mani che la Chiesa cattolica allungava sul matrimonio nella Costituzione. La Chiesa sosteneva infatti che il richiamo alla “società naturale” contenuto nella Costituzione fosse un riferimento alla concezione cattolica di matrimonio, che identifica la “società naturale” con quella fondata da Dio, da cui deriverebbe un non meglio specificato “Diritto naturale”.

Ma nemmeno per sogno!, ha risposto la Consulta. Quelle parole avevano ed hanno ben altro significato:

(…) “La norma, che ha dato luogo ad un vivace confronto dottrinale tuttora aperto, pone il matrimonio a fondamento della famiglia legittima, definita “società naturale” (con tale espressione, come si desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere)”.

In parole povere, due persone sono famiglia perché si sono scelte, non perché un’istituzione ha concesso loro questo titolo. La famiglia preesiste alle istituzioni, e lo Stato ha il dovere di riconoscerle diritti in quanto essa esiste, rammenta la Consulta, laddove per la concezione cattolica la famiglia inizia ad esistere solo al momento in cui viene dichiarata tale per mezzo di un rito celebrato dalla Chiesa, ed inizia ad avere diritti ( e doveri) solo a partire da questo momento, e non prima e non al di fuori di tale sanzione.

Ma la Consulta puntualizza che la Costituzione non vuol dire quel che intende la Chiesa, e morta lì. Daccapo, questo sarebbe il testo che sconfigge il movimento gay nelle sue pretese? Ma per favore!

Smettiamola di vivere delle “narrazioni” della realtà che ci vengono dai nostri nemici, e quindi false e fuorvianti.

Iniziamo una buona volta a guardare coi nostri occhi e a ragionare con le nostre teste.

E a combattere con i nostri cuori…

Giovanni Dall’Orto