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Ieri. E domani?

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Cari amici di Milk Milano,

è ancora stordito da quanto successo che scrivo queste poche righe, nell’attesa di riflettere bene e lanciare, forse, un comunicato ufficiale in merito a quanto avvenuto ieri alla Camera. Non sono riuscito a farlo ieri, ma la prima reazione è stata quella di chiedere aiuto a tutti per  portare gente in piazza.

Al momento tre sono i punti che maggiormente mi toccano di questa indegna vicenda: la trasversalità sostanziale con cui si è attaccata la blandissima legge Concia (non istituiva nemmeno il reato di omofobia) facendola colare a picco, le giustificazioni addotte per questo atto, l’esclusione già a suo tempo delle persone trans dalla stessa.

Ci trovo tre evidenti motivazioni, così, a caldo: la forza trasversale del pensiero omofobo (e, mi spiace dirlo, le chiare responsabilità del PD e il “sospetto” che dietro ci sia anche lo zampino della CEI non devono essere taciute), l’ignoranza becera, violenta ed assoluta dei componenti la maggioranza e dei loro elettori (diciamolo, diciamolo, diciamolo! li avete eletti VOI) nel momento in cui ci ritengono dei privilegiati e ci paragonano a pedofili e zoofili, e, infine, il tentativo di dividere il movimento,facendo intendere la possibilità di navigare verso una uguaglianza di privilegiati, lasciando al palo le nostre sorelle e i nostri fratelli trans.

Infine, ieri sera, in due ore, la convocazione della manifestazione. Ottanta / Cento persone. Molte contattate per telefono direttamente.  Credo che l’articolo pubblicato da Gay.tv sia esemplare: descrive molto bene quanto successo, il clima, i sentimenti.

Ottanta. Milano porta nel momento in cui la comunità è ferita come non mai 80 persone in piazza. Ho sentito gente dirmi che non sarebbe venuta per il freddo, perché stanca, perché andava al cinema col fidanzato, perché aveva impegni associativi. Ho fatto un giro per alcuni locali prima di arrivare in piazza, per portare gente. Erano pieni. Faceva freddo per tutti, ieri. Eravamo stanchi e demoralizzati tutti, ieri. Avevamo altri programmi tutti, ieri. Ma ottanta son scesi in piazza. Possibile che non si capisca che se non siamo noi a muoverci le cose non cadranno certo dal cielo?

Forse è ora che si riparta da questo, allora. Forse questa batosta morale terribile serve a farci capire un punto focale, che col semplice confronto tra associazioni non avevamo ancora individuato: dobbiamo ripartire dal tirare fuori la gente dalle cantine in cui si è infilata. Cantine forse meno squallide dei battuage degli anni ’60: belle, lucide e laccate, che danno sicurezza. Luccicanti, che abbagliano. Cariche di individualismo e cecità, però. Non c’è più il gay disperato che ha come unica chance quella di un rapporto con uno sconosciuto in un postaccio, ma il gay del sabato (o della domenica) sera che sente appagata la propria personalità con l’illusione che una ballata in discoteca sia libertà.

Uno schiavo che benedice le proprie catene perché coperte d’oro, non avvedendosi della differenza tra lo scegliere di vivere in un modo e l’obbligarcisi, stordendosi con l’indifferenza e l’individualismo che caratterizzano la maggior parte degli Italiani, solo in salsa omo. Noi non possiamo permettercelo, mi spiace disilludervi. Non è permesso come minoranza schiacciata: puoi scegliere di tacere nel momento in cui sei libero di parlare. Sennò stai zitto solo per tua codardia.

Sinché non saremo uguali agli altri PER LEGGE tutto il resto sarà una garanzia illusoria, che soddisfa il nostro ego ma non porta avanti questo Paese. Un paese a cui noi dobbiamo chiedere i nostri diritti, dobbiamo la nostra lotta per migliorarlo, dobbiamo il nostro essere voce di chi non ha voce.

Questo dico: che i gay, le persone trans, le lesbiche di Milano ricomincino a svegliarsi, e a ricordarsi di questi doveri. Ne van di mezzo le nostre vite, i nostri amori, il futuro dei gay che nascono oggi e che tra 15 anni dovranno affrontare la realtà che si sta costruendo oggi, che NOI stiamo costruendo oggi.

Ottanta eravamo? Bene, da questi ottanta si parte. Non abbiamo tempo da dedicare alla disperazione.

Oggi è la giornata della rabbia, del dolore. Da stasera ricomincia la speranza.

Stefano Aresi, Milk Milano

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