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La signorina Giulia: intervista ad Agnese Grizzaffi

La Signorina Giulia è un testo, segna il manifesto del naturalismo teatrale e letterario, scritto da August Strinberg, messo in scena allo Spazio Tetrulliano di Milano, regia di Giuseppe Scordio e ancora presente in programmazione fino all’8 novembre, agevolazioni per soci Milk per il costo del biglietto di ingresso: un ribaltamento di ruoli di genere, di condizioni sociali e di dinamiche interpersonali tale da suscitare nell’Ottocento, quando venne scritto, un forte scandalo nei salotti benpensanti borghesi. Oggi risulta ancora fortemente attuale, in una determinata chiave di lettura, e i personaggi presenti, tre, Cristina, la serva, la signorina Giulia, figlia della famiglia padronale e il servo, Jean, ambiziosa figura che tenta di scalare la società in modo ossessivo, vedranno modificare i loro rapporti interpersonali, in modo inatteso e imprevisto, ma reale e tangibile sulla scena. Abbiamo intervistato Agnese Grizzaffi, attrice che interpreta il ruolo della serva, Cristina, personaggio granitico nel suo carattere e nella sua dimensione, figura che “ha bisogno di certezze a cui aggrapparsi, altrimenti non è nulla”, portandoci ad assaporare “il lato naturalista e verista della commedia”.

Agnese: quale è stato il tuo rapporto come personaggio e attrice con la regia in questo spettacolo?
Sono stata contattata dalla regia, e conseguentemente conosciuta, tramite Convivo d’Arte, compagnia per la quale recito abitualmente.

Il personaggio, Cristina, che tu interpreti nel ruolo della serva come lo rappresenti e come lo hai proposto al pubblico?
È il ruolo di una serva, appunto, una situazione sociale accomunante Cristina con Jean. È l’unico personaggio che è cosciente del suo essere servo e popolano e non avverte la necessità di uscire da questo ruolo, sentendosi, anzi, confortata da questo. Esplode la crisi quando certi “stati sociali” rischiano di crollare. Lei stessa dirà: “Non posso rimanere più qui se non posso rispettare i padroni”. È un personaggio granitico con una propria forza che si rivela alla fine: lei si tira fuori da una situazione sporca e conflittuale. In tutto questo si apprezza una certa caratteristica di alcune protagoniste “donne siciliane” che vedono le proprie radici affondare in una loro consapevolezza. Lei è forte nella sua posizione.

Il lavoro di interpretazione del personaggio come si è caratterizzato, svolto?
Ho cercato di essere il più naturale possibile nell’uso della voce, del dialetto e dell’influenza dialettale. C’è una certa cadenza teatrale ma ho cercato di renderla il più reale e vera. È un personaggio spontaneo fin dall’inizio ed è molto spontaneo anche sul finire della sua rappresentazione, senza scivolare in caricature. Non sono io, Agnese, a rappresentarmi in Cristina, non condivido del tutto il carattere del personaggio, ma gradualmente, mettendola in scena, posso dire che ci stiamo capendo. Cristina ha bisogno di certezze a cui aggrapparsi, altrimenti non è nulla. In questo si assapora molto il lato naturalista e verista della commedia.

Il rapporto tra te, attrice, e il testo?
Il testo è molto difficile. È un testo dell’Ottocento e riportarlo in scena, oggi, implica un tentativo di capire certe dinamiche umane dei personaggi. È un testo che risulta, però, fruibile per tutti, dal critico teatrale a un pubblico meno abituato al linguaggio teatrale. I drammi si esplicano in faccia al pubblico e vengono compresi facilmente. Esiste un tentativo di fare una scalata sociale, una fatica di uscire da certi schemi rigidi, trovandocisi rinchiusi e avvertendo una forte necessità di respirare: il testo non fa respirare, i personaggi hanno bisogno di libertà e le dinamiche risultano sempre attuali.

La tua formazione teatrale: puoi parlarci dei passaggi e delle esperienze avute?
Studio teatro da quando avevo 14 anni. Ho studiato con Kuniaki Ida, frequentando la sua scuola, primo approccio vero alla recitazione. Ho continuato a formarmi con la compagnia Scimmie Nude, frequentando, poi, i seminari di Vacis e di Borrelli, teatro popolare per intenderci: quel tipo di teatro che ha riscoperto le tradizioni e il dialetto, portandoli in scena con una forza drammaturgica devastante. Non ho una formazione accademica.

Prossimi tuoi lavori che ti trovano impegnata sul palcoscenico?
Con Convivio d’Arte stiamo promuovendo il genere Grand Guignol, genere di fine ottocento, precursore del teatro cruento e sensuale, bandito dal regime fascista. Il 13 novembre saremo al Sacrestia, a Milano, per festeggiare un anno di questo impegno. Non abbiamo pretese intellettuali, ma scherziamo sulla morte e sull’amore, adorando il grottesco in un’ottica poco naturalistica. Il rapporto forte col pubblico in questo genere teatrale sta nel suo coinvolgimento, risultando lo stesso, a volte, un po’ spiazzato, ma riuscendo a farsi sempre coinvolgere molto bene.

I simboli e i segni sono presenti nel testo teatrale de La signorina Giulia, esplicando allegorie e metafore: quali sono i più significativi secondo te?
La scelta del falco, scelta del regista, Giuseppe Scordio, rappresenta, per esempio, il personaggio da lui interpretato, Jean, un suo capisaldo come simbolo, tanto da spingere lo stesso falco sul proscenio e svelandolo. Un altro simbolo fondamentale è il campanello, suonato alla chiusura della rappresentazione: uno scherzo iniziale che diventa allegoria del “comando”, rivolto alla signorina Giulia che, una volta decaduta dalla sua posizione, si rimetterà totalmente al servo, Jean, il quale ne decreterà la fine. Si passa, cosi, da un inizio divertente nell’utilizzo di tale oggetto, giungendo, invece al termine, a quel suono truce emesso dallo stesso. Si utilizza, cosi, un oggetto e lo si fa vivere in scena. Le luci e le scene sono velate durante lo spettacolo: questo determina un gioco di immagini di grande impatto, creando una situazione onirica, in cui la luce rossa raffigura suggestivamente la situazione infernale. In tutto questo si trovano immagini regalate e offerte, immagini di elementi non tangibili, ma che suscitano un forte impatto. Il lavoro di fare vivere gli oggetti porta, ogni sera, mettendo in scena il testo, a scoprire sempre qualcosa di nuovo. Le scene cambiano di sera in sera, rappresentazione dopo rappresentazione e riesco, così, a muovermi sempre con maggiore padronanza. Infine le assi che vengono fatte cadere a terra da Jean rappresentano, secondo me, il personaggio stesso che porta Giulia alla caduta finale, distruggendo quello spazio circostante e conducendo la signorina verso una propria distruzione totale.